A Caso per l'Asia 🇲🇾 Giorno 49: Kuala Lumpur, Malesia
Perché abbiamo ancora bisogno degli ingenui che vogliono salvare il mondo.
Erano le undici di sera, e stavo rientrando a casa.
Entrai in ascensore e, proprio mentre le porte stavano per chiudersi, notai un ragazzo che varcava l’ingresso della hall. Istintivamente bloccai le porte e lo aspettai.
Dovevamo salire allo stesso piano.
Il viaggio in ascensore iniziò nel modo più ordinario, con le solite domande di circostanza: come ti chiami, di dove sei, che cosa ci fai qui. Ma presto la conversazione si trasformò in qualcosa di inaspettato.
Le banalità iniziali lasciarono spazio a temi sempre più profondi: il senso di Dio, le contraddizioni dell’Islam, le sfide della comunità transgender.
Quando ci separammo, era già l’una di notte.
Quella che doveva essere una breve conversazione da ascensore si rivelò un incontro capace di arricchire il tempo e cibare la mente.
Yousef ha ventisette anni, è figlio di un padre egiziano e di una madre kuwaitiana, ed è cresciuto in Kuwait.
Mi racconta di un paese immensamente ricco, eppure soffocante. La qualità della vita, dice, è tutt’altro che invidiabile. Se non sei musulmano, sei destinato all’emarginazione. Le donne, in particolare, affrontano enormi difficoltà: la loro libertà è limitata e il loro ruolo è rigidamente definito.
Nonostante sia nato e cresciuto in Kuwait, Yousef non ha mai potuto ottenere la nazionalità. Il motivo? La sua discendenza materna. Sua madre è kuwaitiana, ma nel sistema giuridico del paese questo non basta: solo il padre può trasmettere la cittadinanza ai figli. Essendo donna, sua madre non ha gli stessi diritti di un uomo.
E così, Yousef è rimasto straniero nella sua stessa terra per i primi ventiquattro anni della sua vita.
Mentre parlavo con lui, rivedevo il me stesso ventenne: fiducioso, ribelle, idealista. Quel me che credeva di poter cambiare il mondo, prima di scegliere, col tempo, di diventare più cinico e di focalizzarsi sui propri problemi piuttosto che su quelli dell’umanità.
Yousef, invece, non ha fatto quel passo indietro. Lui vuole ancora lottare per una società migliore. E lo fa con la sua arte, attraverso i film e i documentari che realizza, dando voce a chi non può parlare.
È appena tornato dalla Thailandia, dove ha trascorso alcune settimane ospite di una famiglia guidata da una donna transgender. Era lì per documentare la sua vita, raccogliere testimonianze, raccontare una realtà spesso ignorata.
Attraverso le sue interviste e riprese, Yousef spera di sensibilizzare il mondo arabo su un tema ancora tabù, contribuendo, nel suo piccolo, a rendere queste persone un po’ più accettate.
In Kuwait, per esempio, c’è tacito accordo nel fingere che le persone transgender e omosessuali non esistano. Essere apertamente parte di queste comunità non è un’opzione: in Kuwait, significa condannarsi a morte.
Yousef non vuole incentivare più transizioni da uomo a donna o viceversa. La sua battaglia non è questa. Ciò per cui lotta è qualcosa di più essenziale, un principio che dovrebbe essere alla base di ogni società e religione: il rispetto.
Rispetto per chiunque, indipendentemente da chi sia o da come scelga di vivere la propria vita. Rispetto per la diversità. Per le scelte individuali. Per l’umanità in tutte le sue forme.
Puoi essere una persona transgender, e meriti rispetto. Puoi appartenere all’ISIS, e meriti comunque rispetto. Puoi essere amish, la persona più buona del mondo o un serial killer: il rispetto resta un principio che non dovrebbe dipendere da chi sei o da cosa hai fatto.
Sei un essere umano. E che tu diventi un fottuto idiota o la persona migliore del mondo, spesso non è nemmeno del tutto colpa tua.
Siamo sempre pronti a giudicare, senza fermarci un attimo a capire.
Non sappiamo nulla della storia degli altri, di cosa li abbia resi ciò che sono oggi, delle battaglie che hanno dovuto affrontare lungo il cammino. Eppure, emettiamo sentenze con leggerezza, senza chiederci quali ferite, quali scelte, quali dolori li abbiano portati fino a lì.
Yousef sa che cambiare il mondo è un’utopia. Ma sa anche che cambiare una sola persona può innescare un effetto domino, spingendola a cambiare qualcun altro, e così via.
Le ingiustizie e l’ignoranza non spariranno mai del tutto, è vero. Ma forse, grazie a piccoli gesti, a storie raccontate, a idee condivise, potranno esisterne un po’ meno.
Lui sa bene a cosa va incontro. Quando il suo documentario verrà proiettato nelle sale cinematografiche d’Egitto, potrebbe attirare l’attenzione sbagliata. C’è la concreta possibilità che le autorità lo perseguitino e che cerchino di arrestarlo.
Per questo, sta già pianificando una via di fuga. Ha un piano B, perché raccontare la verità ha un prezzo, e lui è pronto a pagarlo.
“È così importante per te da rischiare la tua stessa libertà?” gli chiesi, curioso.
Non ci pensò nemmeno un istante: “Sì, senza ombra di dubbio.”
Avrei voluto dirgli che era un ideale stupido, che la libertà personale doveva venire prima di tutto, ma mi trattenni.
Riflettei su me stesso, su chi ero stato. Anch’io, un tempo, avrei dato tutto per combattere contro le ingiustizie del mondo, senza risparmiarmi, senza esitazioni.
Crescendo, ho cominciato ad abbracciare il pensiero che soffrire per i problemi del mondo non serva a nulla. L’unica cosa che fa è minare la tua quotidianità, portando nella tua vita un dolore che non cambia niente. Tu stai male, ma nel frattempo resti impotente di fronte alla vastità di ciò che non puoi controllare.
Eppure abbiamo bisogno di persone come Yousef.
Persone che lottano per qualcosa di molto più grande, che non si accontentano semplicemente di vivere la propria vita. Persone che, nonostante tutto, si sforzano di fare la differenza.
Potresti dire che per lui è più facile, che è cresciuto in un ambiente privilegiato, dove non solo non gli è mai mancato nulla, ma ha sempre avuto più di quanto la maggior parte del mondo potrebbe immaginare.
Ma crescere nell’abbondanza non significa essere esente dalle sfide. Se nasci in povertà, ciò che desideri più di tutto sono i soldi. Se nasci nella ricchezza, o diventi una persona superficiale, o inizi a cercare qualcosa di più, qualcosa che vada oltre il possesso materiale, che dia un senso più profondo alla tua esistenza, e magari anche a quella degli altri.
Yousef è troppo intelligente ed empatico per accontentarsi delle cose superficiali, come comprare una bella macchina o farsi un’altra vacanza in un hotel a cinque stelle.
Il mondo non è mai stato cambiato dalle folle che si radunano nelle piazze o dalle piccole azioni quotidiane di ciascuno.
Il cambiamento vero è sempre venuto da piccoli gruppi di menti rivoluzionarie che, con coraggio e determinazione, hanno saputo scuotere le fondamenta della società.
Che abbiano usato la forza o meno, queste menti hanno creato nuove forme di pensiero, trasformando la visione del mondo delle masse e, di conseguenza, la loro intera percezione della vita.
Ed è per questo che stimo questo mio nuovo amico.
Lui non cerca di cambiare il mondo intero: vuole cambiare una sola persona. E spera che, attraverso quella piccola trasformazione, il mondo possa diventare un pochino migliore di come era prima.
Il suo prossimo progetto si concentrerà sulla Libia e sulle difficoltà che gli immigrati affrontano per ottenere la cittadinanza in quel paese.
Yousef mi dice che la situazione lì è davvero estrema, con un sistema che rende quasi impossibile per chi non è nato in Libia avere una vera appartenenza.
È un tema di nicchia, certo, ma Yousef è convinto che, se riuscirà a coinvolgere le persone giuste per realizzare il suo documentario, potrà avere un impatto significativo sulle comunità coinvolte, sensibilizzando e dando voce a chi, altrimenti, resterebbe invisibile.
Glielo auguro davvero.
Perché, per quanto io sia diventato cinico, forse un po’ codardo, non ho la forza, né la voglia, né l’energia di pensare di dover lottare per migliorare il mondo.
Eppure, se non avessimo quei piccoli gruppi di rivoluzionari che lo fanno per noi, la società non progredirebbe mai.
Senza di loro, il cambiamento sarebbe solo un sogno irrealizzabile.
E quindi, sì, abbiamo bisogno di qualche Yousef in più nel mondo.
Persone che continuano a lottare, anche quando sembra che al mondo non gliene freghi un cazzo.
A domani,
Grazie per aver letto fin qui!
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Per chi è nuovo da queste parti…
Mi chiamo Riccardo. Sono un viaggiatore senza dimora fissa, giro per il mondo e scrivo online.
In questo momento mi trovo in Malesia, immerso nel mio viaggio A Caso per l'Asia. Sono partito senza alcun piano o biglietto di ritorno, e ogni giorno documento un momento speciale della mia avventura.
La domenica pubblico un articolo in cui esploro una lezione differente che la vita mi ha insegnato, condividendo riflessioni e strategie che mi hanno aiutato a superare gli ostacoli.
Se anche tu sei un sognatore, se hai un animo irrequieto, se dentro di te arde la sensazione che ci sia "qualcosa di più” là fuori, allora La Cantina dei Dannati è il posto giusto per te.
Benvenuto, e buona lettura!
Ciao Riccardo. Grazie per questo post. Una meraviglia ✨ Dovremmo sostenere persone come lui. In passato ciò provato in prima persona ma poi mi sono reso conto che non avrei combinato nulla. Adesso so' che dipende da me poter cambiare il mondo. Semplicemente con un gesto o un sorriso verso un'altra anima🙏