
Era ora di cena e mi sentivo indeciso.
Mangiare o non mangiare? Avevo pranzato tardi e non avevo una gran fame. Seduto sul bordo del letto nella mia capsula, tamburellavo le dita sul ginocchio, mentre nella mia mente rimbalzava l'idea di uscire giusto per uno snack.
Poi un pensiero più allettante si fece strada tra i miei pensieri: una birretta, magari in buona compagnia.
Dopo aver alloggiato in un appartamento durante il weekend, però, l'ostello non era più popolato dalle stesse persone di qualche giorno fa. I volti familiari della scorsa settimana erano svaniti, e non conoscevo nessuno che avrei potuto invitare.
Sospirai e scostai la porta della capsula.
Alzandomi, incrociai lo sguardo con il mio nuovo vicino che, con perfetto tempismo, usciva proprio in quel momento dalla sua tana.
“Hello, man! Where are you from?”
Questa è la classica domanda che i viaggiatori si scambiano per rompere il ghiaccio, un quesito semplice e ripetitivo, eppure capace di aprire uno spiraglio su un mondo di conversazioni inaspettate e interessanti.
Fu lui a pormela, e io intravidi la possibilità di trasformare in realtà quella birretta che qualche attimo prima era solo un pensiero.
Ali è un uomo pakistano di quasi sessant’anni, ma mentre chiacchieriamo mi viene da pensare che forse dovrei definirlo un ragazzo. Ha lo sguardo vivace di chi ha visto il mondo e non si stanca mai di scoprirlo. Ha la cittadinanza spagnola, ma da diciassette anni vive a Londra, la città dove ha conosciuto sua moglie, una galiziana con cui ha costruito una famiglia.
Due figli, una casa, eppure la sua natura irrequieta non si è mai placata.
Lui è un malato di viaggi in solitaria, lei preferisce le crociere e i pacchetti all-inclusive. Ridendo, mi disse che hanno trovato un equilibrio: lui parte da solo quando ha bisogno di avventura, lei lo accompagna quando la destinazione prevede resort e cene eleganti.
“Ci rispettiamo,” dice con un’alzata di spalle.
Lo ascolto con curiosità, mentre il bicchiere di vetro freddo prova a scivolare via dalla mia mano. La sua storia mi affascina. C’è qualcosa di rassicurante nel sapere che esistono modi diversi di viaggiare, di amare, di costruire una vita insieme senza rinunciare a sé stessi.
Ali parla con quell’aria di chi ha vissuto mille esistenze in una sola, con lo sguardo acceso dal ricordo delle esperienze passate. Mi racconta di quando attraversava l’Europa a bordo del suo van, trasportando pezzi di prototipi di motori per Ferrari, McLaren e Aston Martin, macinando chilometri tra l’Inghilterra e l’Italia, con l’asfalto infinito davanti e la radio a fargli compagnia.
Poi è finito nel mondo della finanza, un salto quasi surreale se si pensa ai giorni passati in autostrada. Mi immagino il contrasto: dalle strade polverose ai pavimenti lucidi di un ufficio. Dalle pause caffè in anonime aree di servizio ai pranzi formali con colleghi in giacca e cravatta.
Ma non è finita lì.
A un certo punto ha deciso di reinventarsi ancora, infilando un grembiule da cuoco e sporcandosi le mani di farina, spezie e ingredienti di ogni tipo. Ha gestito un ristorante, ha servito piatti nati dalla sua cultura e dalle sue esperienze di viaggio.
“Cucinare è come viaggiare,” dice con un sorriso, “mescoli sapori come se fossero pezzi di storie raccolti lungo la strada.”
Lo ascolto affascinato: Ali è il tipo di persona che non si lascia incasellare, uno di quelli che cambiano pelle senza paura.
A quarant’anni, ha trasformato il suo Volkswagen Caddy da semplice mezzo di lavoro a casa su quattro ruote. Quello che prima era solo un furgone carico di pezzi per supercar è diventato il suo guscio di lamiera che lo ha portato attraverso quasi ogni angolo d’Europa.
Conserva ricordi di notti trascorse in parcheggi silenziosi sotto cieli stellati, del rumore della pioggia che tamburellava sul tetto del van mentre si rannicchiava nel sacco a pelo, del caffè preparato su un fornellino da campeggio con il profumo che si mescolava all’aria fresca del mattino.
Ma viaggiare in questo modo non significava solo dormire nel suo Caddy: Ali ha sperimentato il couch surfing, spalancando le porte di case sconosciute e finendo per addormentarsi su divani di ogni tipo, dalle mansarde polverose di vecchi edifici berlinesi ai salotti minimalisti di qualche giovane designer scandinavo.
Ha conosciuto centinaia di persone e migliaia di storie. Alcuni incontri sono durati una notte, giusto il tempo di una cena e di una chiacchierata fino a tardi; altri si sono trasformati in amicizie che resistono al tempo e alla distanza. Ha imparato che ogni casa ha un odore diverso, che ogni ospite ha un modo unico di accoglierti e che la gentilezza a volte arriva proprio quando meno te l’aspetti.
Alla fine, il couch surfing è diventato per lui una filosofia di vita, una porta aperta sul mondo. Ma Ali non si è limitato ad essere un ospite: è diventato ambasciatore del sito stesso, diffondendo quello spirito di condivisione che l’ha portato a sentirsi a casa ovunque andasse.
“Era fantastico,” dice, con un sorriso nostalgico.
“Non c’erano milioni di utenti come oggi, solo una comunità ristretta di viaggiatori che cercavano connessioni autentiche ed esperienze da condividere."
Dopodiché, con un cambio di tono, la sua espressione si fa più malinconica.
“Poi è successo l’inevitabile,” aggiunge. “Qualche idiota ha iniziato a pubblicizzare il sito come un modo facile per rimorchiare.” Allarga le mani, quasi con rassegnazione. “Da lì è cominciato il declino. All’improvviso sono arrivate milioni di persone, ma con un’intenzione diversa: non più l’idea di ospitare viaggiatori o di essere ospitati per il piacere della condivisione, ma solo per adescare ragazze.”
Ma la mazzata finale, mi spiega, è arrivata quando l’azienda è stata comprata da un grosso gruppo di investitori.
“E lì è finita davvero,” dice con amarezza. “Quelli volevano solo farci soldi, e hanno stravolto tutto. La piattaforma ha perso il suo spirito originario ed è diventata un business senz’anima.”
Rimane un attimo in silenzio, guardando la schiuma che si dissolve lentamente nel suo bicchiere. “Era un’idea bellissima,” dice infine, quasi parlando a sé stesso. “Ma come sempre, quando ci sono di mezzo i soldi, qualcosa si rompe.”
Venne bannato da couchsurfing perché condivideva i link del suo gruppo Facebook, attraverso cui organizzava barbecue giganteschi, raduni improvvisati che attiravano centinaia di persone da ogni parte del mondo.
“Era diventata una tradizione. Ogni volta che passavo in una città, lanciavo l’idea e in poche ore si formava una comunità spontanea: viaggiatori di ogni nazionalità, birre economiche, carne sulla griglia e storie condivise. Nessuno si sentiva uno sconosciuto, neanche per un secondo.”
Ma l’algoritmo non aveva un’anima. Un giorno si è ritrovato tagliato fuori e il suo profilo venne cancellato senza appello.
“Per loro ero un problema,” dice con un’alzata di spalle. “Un tipo che creava eventi fuori dalla piattaforma significava utenti che si organizzavano da soli, senza passare dal loro sistema. E questo, evidentemente, non gli piaceva.”
Provò a creare profili falsi, giusto per rimanere in contatto con la rete di persone che aveva conosciuto. Ma ogni volta che tentava di rientrare, veniva scoperto e bloccato di nuovo.
“Alla fine ho capito che era tempo di lasciar perdere,” dice con un sospiro. “Ma il bello è che, anche senza la piattaforma, la gente ha continuato a cercarmi. Quei barbecue erano diventati qualcosa di più di un semplice pasto insieme. Rappresentavano tutti quei valori che la piattaforma aveva dimenticato.”
Lui però non si diede per vinto, e il passaparola ebbe la meglio. Il suo gruppo su Facebook, nato quasi per caso, continuò a crescere fino a raggiungere quasi quattromila membri sparsi per il mondo. Viaggiatori e sognatori che, in un modo o nell’altro, avevano incrociato Ali sulla propria strada o ne avevano sentito parlare da qualcuno.
“Ora ovunque vada c’è qualcuno che mi scrive: ‘Ali, vieni a casa mia! Organizziamo un barbecue!’” ride, mentre si asciuga i baffi dopo un altro sorso. “E io che posso fare? Prendo e vado!”
Quello che un tempo era solo un modo per unire sconosciuti davanti a una griglia, è diventato una vera e propria filosofia di vita. Una rete informale di persone che si ritrovano nelle città più disparate, aprendo le proprie case per feste improvvisate, cene condivise, serate che iniziano tra estranei e finiscono tra amici.
Nel loro piccolo, hanno riportato in vita quei valori che Couchsurfing aveva all’inizio — quell’ospitalità pura, disinteressata, fatta di scambio e connessione. Quello che il denaro e gli investitori avevano distrutto, loro lo stavano ricostruendo, una grigliata alla volta.
Dopo aver passato tre giorni insieme, ciò che mi è rimasto impresso di questa amicizia è un pensiero semplice, ma potente: non è mai troppo tardi per cominciare.
Ali ha iniziato a quarant’anni, un’età in cui molti si convincono che la vita abbia già preso la sua forma definitiva. Una famiglia da mantenere, doveri da adempiere, una routine che si incastra nei giorni come un ingranaggio ben oliato. Ma nel cuore di Ali c’era sempre stato un sogno non detto, un desiderio trattenuto tra le pieghe della quotidianità: viaggiare. Lo aveva immaginato mille volte, sentito sulla pelle senza mai poterlo afferrare davvero.
Perché prima, semplicemente, non era possibile.
Quando sei un emigrato, la tua prima e unica missione è sopravvivere. Devi adattarti, costruirti una vita partendo da zero, imparare una lingua che non è la tua, dimostrare di meritarti ogni piccolo pezzo di futuro che riesci a conquistare. E mentre fai tutto questo, non c’è spazio per i sogni, solo per la necessità di andare avanti.
Ma a quarant’anni, Ali ha deciso che era il momento di prendersi quello che la vita non gli aveva mai concesso.
E così ha iniziato. Senza aspettare il momento perfetto, senza un piano definito, senza più rimandare. Certo, non poteva mollare tutto e partire senza meta. Ma aveva un mese di vacanze all’anno, e quello bastava. Ogni volta prendeva lo zaino, chiudeva la porta di casa alle sue spalle e si lanciava nel mondo.
E così, nel giro di vent’anni, ha attraversato l’Europa, ha visto il mondo, ha vissuto mille vite diverse dentro la sua.
Ora è felice, sorridente e radioso.
Non si guarda indietro con rimpianto, perché sa che tutto quel tempo “perso” gli è servito per arrivare fin qui. Non si preoccupa di cosa succederà lunedì quando dovrà rientrare al lavoro. Ali è qui, adesso. Fa il meglio che può con quello che ha e si gode ogni singolo istante.
Brinda con sconosciuti che, nel tempo di una cena, diventano amici.
Si nutre di incontri, di storie, di momenti che esistono solo per chi ha il coraggio di viverli davvero.
Alla prossima,
Grazie per aver letto fin qui! 😀
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Per chi è nuovo da queste parti…
Mi chiamo Riccardo. Sono un viaggiatore senza dimora fissa, giro per il mondo e scrivo online.
In questo momento mi trovo in Malesia, immerso nel mio viaggio A Caso per l'Asia. Sono partito senza alcun piano o biglietto di ritorno, e di tanto in tanto documento un momento speciale della mia avventura.
La domenica pubblico un articolo in cui esploro una lezione differente che la vita mi ha insegnato, condividendo riflessioni e strategie che mi hanno aiutato a superare gli ostacoli.
Se anche tu sei un sognatore, se hai un animo irrequieto, se dentro di te arde la sensazione che ci sia "qualcosa di più” là fuori, allora La Cantina dei Dannati è il posto giusto per te.
Benvenuto, e buona lettura!
😘😘
Ciao Riccardo 😊. Gran bella esperienza condivisa 🙏❤️.
Un abbraccio.