I 5 Comandamenti dell’Evoluzione Personale
Il dolore è al centro di tutto: abbandona le illusioni e approccia la vita con realismo.

So esattamente cosa vuoi sentirti dire.
Vuoi che ti rassicuri, che ti dica che tutto andrà alla grande. Che la vita, in qualche modo, sistemerà tutto da sola. Vuoi che ti dica che il dolore sparirà, che i tuoi sogni si realizzeranno e che l'unico ostacolo tra te e il tuo destino sei tu.
Beh, fanculo a quello che vuoi sentirti dire.
Se mi fregasse abbastanza dell’umanità, troverei un palco e un microfono, e dichiarerei con aria solenne che oggi è un grande giorno. Un nuovo giorno. Il giorno in cui ho inventato un nuovo genere di crescita personale.
Nessuna cagata sull’essere sempre positivi. Nessuna masturbazione mentale su come coccolare i propri traumi. Nessun viaggio psichedelico nella giungla a vomitare l’anima sotto effetto di ayahuasca.
No, il mio approccio sarebbe brutale. Concreto. Vecchia scuola. Un ritorno ai tempi in cui nessuno si faceva seghe mentali sulla “migliore versione di sé stesso” perché c’era da lavorare, mangiare e, se avanzava tempo, bersi qualcosa senza pensarci troppo.
Tranquillo, questo approccio non ti chiederà di svuotare il conto in banca per qualche corso motivazionale. Non ti costringerà a fissarti allo specchio ogni mattina per batterti il cinque da solo e ripetere bugie su te stesso con la speranza che un giorno diventino vere. E no, non dovrai nemmeno svegliarti alle quattro del mattino per correre venti chilometri prima di colazione.
Ciò che voglio fare qui è condividere un nuovo approccio: quello dell’Evoluzione Personale. Un approccio che non si basa su ciò che ti fa stare bene, ma su ciò che ti fa stare di merda.
La Crisi della Resilienza
Qualche anno fa decisi di provare a scaricare qualche app sulla crescita personale.
Tutte promettevano le solite cose: “Scarica l’app, usala cinque minuti al giorno e sarai felice per sempre!”
Colto dall'entusiasmo, feci l'errore di concedere loro l’accesso alle notifiche.
Per una settimana intera mi svegliai ogni mattina con il telefono che squillava notifiche motivazionali. Una sfilza infinita di frasi fatte per gente che si illude di cambiare vita senza nemmeno alzarsi dal divano.
“Hai un bel sorriso, Riccardo.”
“Sei capace di molto più di quanto pensi.”
“Andrà tutto bene.”
Insomma… un mare infinito di stronzate.
Mi resi conto subito che non solo erano inutili, ma che mi facevano sentire ancora più depresso di prima.
Vabbè, in poche parole, mi ritrovavo sommerso da una valanga di contenuti che cercavano di convincermi di quanto fossi speciale. Unico. Irripetibile. Una forza positiva per il mondo.
Capisco perché le persone si attaccano a questo genere di messaggi. È perché non sono mai state capaci di dirsi queste cose da soli. È una trappola in cui sono caduto anche io: il mio dialogo interiore era un monologo brutale, una scarica di bastonate che mi davo da solo, senza nessun valido motivo.
Ma credere che un’app che sputa delle frasi da biscotto della fortuna possa riempire quel vuoto che ti porti dentro sin da quando eri bambino è stupido.
Il problema è che questo è il genere di messaggi che domina il panorama quando si parla di salute mentale. Non è assurdo? Il livello è davvero così basso?
In questo modo, non stiamo promuovendo alcuna stabilità emotiva. Stiamo solo alimentando un’epidemia di narcisismo. Un’ossessione patologica per l’io, mascherata da benessere interiore.
Siamo sinceri: che razza di persona cammina per strada pensando “Cazzo, quanto sono speciale. Sono proprio una forza positiva per il mondo”?
Se conosci qualcuno così, stai alla larga.
Non abbiamo più bisogno di queste stronzate. Non serve sentirci ripetere quanto siamo speciali, unici o destinati a grandi cose. Abbiamo bisogno dell’opposto: meno illusioni, meno carezze all’ego e meno fuffa motivazionale.
Le statistiche parlano chiaro: i problemi di salute mentale stanno crescendo a un ritmo spaventoso. Depressione. Ansia. Disturbi alimentari. Overdose da droghe. I numeri sono in crescita in ogni parte nel mondo.
E c’è da dire che non viviamo nei tempi più duri della storia, anzi. La violenza, le guerre e la criminalità sono ai minimi storici. Tragedie e ingiustizie esistono ancora, certo, ma nel grande schema delle cose, la vita di oggi è immensamente più facile rispetto a un secolo fa.
Eppure, siamo più fragili che mai.
Ma allora la domanda è: perché abbiamo bisogno di un'insieme di contenuti che ci dica ogni giorno che abbiamo un bel sorriso o che ci ricordi quanto siamo speciali?
Il mondo in cui viviamo oggi ci ha resi drasticamente meno resilienti di quanto eravamo in passato. Ci ha convinti che il disagio sia un’ingiustizia da evitare a tutti i costi, invece di una parte inevitabile – e necessaria – della crescita.
Oggi, ogni minimo problema viene etichettato, catalogato e reso una diagnosi. Ogni fastidio diventa un trauma, ogni difficoltà una crisi esistenziale. E questa problematizzazione costante ci sta mandando in tilt. Ci impedisce di funzionare come normali esseri umani.
Ma la resilienza non la costruisci cercando disperatamente di sentirti meglio ogni secondo della tua vita. La costruisci imparando a convivere con le emozioni spiacevoli e con le tue insicurezze.
Devi imparare a essere produttivo anche quando non ne hai voglia. A essere generoso e gentile con gli altri anche quando sei incazzato. A fare quello che devi fare indipendentemente da come ti senti.
Il problema non è che stai di merda. Il problema è che ti comporti di merda e poi dai la colpa alle tue emozioni.
Se dovessi creare un'app sulla crescita personale, non sarebbe la solita app piena di frasi motivazionali e inviti a "credere in te stesso". No, la mia app ti sveglierebbe a schiaffi ogni mattina. Ti metterebbe davanti alla realtà, senza giri di parole. Ti sfiderebbe ogni giorno e ti costringerebbe a fare ciò che eviti da troppo tempo.
Qualcosa del tipo: “Buongiorno Riccardo, ti ricordo che hai un giorno in meno da vivere. Cosa hai intenzione di fare oggi per rendere la tua vita più interessante?”
Questo nuovo approccio può completamente cambiare la tua percezione della vita, dell’Universo, di ogni cosa. Ma per ottenere questa consapevolezza, devi iscriverti adesso, approfittando della mia offerta esclusiva a soli...
…aspetta, ma che sto dicendo? È completamente gratuita.
Ok, facciamo finta che io sia Mosé, in cima al monte Sinai, mentre ti guardo dall’alto con fare altezzoso. Immagina che io stia per scendere con due tavole di pietra in mano, pronto a rivelarti i Dieci Comandamenti dell’Evoluzione Personale.
Ma poi, a metà strada, mi fermo, guardo le tavole e penso: “Fanculo, ne bastano cinque.”
Ecco cosa direi…
1. Gli esseri umani sono stupidi: sii meno stupido degli altri.
Se il mondo della crescita personale ti dice che siamo tutti intrinsecamente fantastici e pieni di talento, quello dell’Evoluzione Personale sa bene che siamo tutti fottuti nel cervello e che siamo pieni di problemi.
Siamo tutti troppo concentrati su noi stessi e ci dimentichiamo di dare il giusto peso agli altri. Siamo troppo presi dai nostri desideri, e troppo poco attenti alle necessità altrui. Ci ricordiamo delle cose in modo approssimativo, e scolpiamo delle credenze che giustifichino come ci sentiamo nel presente. Siamo anche incapaci di prevedere il futuro, sia che si tratti di cosa potrebbe succedere, sia che si tratti di come ci sentiremmo a riguardo.
Siamo creature ossessionate dallo status sociale, vanitose e, non di rado, cattive. La storia ci insegna che non ci vuole molto perché un normale individuo diventi violento o addirittura malvagio, se messo nel contesto giusto e con l’autorità necessaria. E quando qualcuno non è d’accordo con noi, siamo più inclini a giudicare negativamente il suo carattere, anziché riflettere sul suo punto di vista.
Insomma… gli esseri umani sono stupidi. Non c'è nessun potenziale inespresso. Solo un'intricata rete di convinzioni errate, impulsi egoistici e disperazione.
Il nostro vero potenziale sta nella rara capacità di uscire dai meccanismi della natura umana. È in quei momenti speciali in cui siamo in grado di agire con razionalità, compassione, oggettività e giustizia.
Siamo così perché la nostra psiche non si è evoluta per cercare la verità o la compassione, ma per sopravvivere.
Per la stragrande maggioranza della storia umana, le persone non hanno mai interagito con più di una manciata di individui, spesso legati da legami familiari. Le nostre inclinazioni naturali non sono quindi indirizzate alla disciplina, all’empatia o alla comprensione. Al contrario, sono radicate in giudizi impulsivi, reazioni egoistiche e pregiudizi di gruppo che ci hanno aiutato a difenderci e a competere per risorse limitate.
È per questo che dobbiamo mettere in discussione la maggior parte dei nostri sogni, delle nostre idee e dei nostri desideri. Non possiamo permetterci di vivere ciecamente secondo le nostre pulsioni e convinzioni superficiali.
Tutto ciò è doloroso. Ma è proprio per questo che il dolore deve essere al centro di ogni vera forma di crescita personale.
La crescita personale ti spinge a essere più umano, a fidarti delle emozioni, ad essere indulgente e concentrato su te stesso.
L’Evoluzione Personale, invece, ti sfida a evolvere oltre ciò che ti rende umano, a combattere contro i tuoi pregiudizi naturali, a mettere in discussione le convinzioni più radicate e a rimanere resiliente di fronte ai tuoi inevitabili fallimenti.
Perché ciò che di veramente buono e significativo esiste nel mondo non nasce dal cedere ai tuoi impulsi e desideri primordiali, ma dal superarli.
2. Il dolore è inevitabile, la sofferenza è una scelta.
Tutti noi ci prendiamo gioco di noi stessi.
Lo facciamo così bene che la maggior parte di noi non si rende nemmeno conto di quando lo stiamo facendo. Ci convinciamo che esista un modo per liberarsi del dolore, come se fosse possibile fuggirne.
Pensiamo: "Cazzo, se solo potessi avere una Ferrari, tutto sarebbe perfetto," senza renderci conto che avere una Ferrari introduce un altro carico di dolore imprevisto: i costi per la manutenzione, il bollo e l'assicurazione alti, la paura che il tuo amico si faccia un bicchiere di troppo e, in un attimo di incoscienza, sparisca con il tuo bolide per poi andare a schiantarsi contro un guard rail.
Il dolore è la costante universale della nostra vita.
Potrei essere il genio della lampada, schioccare le dita e darti tutto quello che vuoi domani, ma a mezzogiorno ti troveresti comunque a lamentarti del fatto che la piscina che ho creato per te è troppo grande per i tuoi gusti.
Tutti, in fondo, siamo leggermente insoddisfatti, a prescindere da quanto guadagniamo, da chi siamo o da che tipo di macchina parcheggiamo nel nostro vialetto.
La nostra natura non è fatta per la soddisfazione a lungo termine. E invece di accettare questa realtà, le nostre menti ci ingannano costantemente, facendoci credere che la felicità risieda in una Ferrari, dicendoci che, se l'avessimo, tutto andrebbe alla grande.
L’industria della crescita personale ha capito come entrare nel gioco mentale della Ferrari, ed è maestra nel farlo. “Tre passi per realizzare i tuoi sogni!” o “Ti svelo il segreto della felicità eterna!”. Oppure “Impara a ottenere esattamente ciò che vuoi, a prescindere da dove ti trovi ora!”
Non solo queste promesse sono bugie, ma anche nel caso in cui riuscissimo a ottenere ciò che vogliamo, saremmo comunque incazzati perché vorremmo di più.
Il dolore, la perdita, la frustrazione, la delusione — queste sono le cose che la vita ti offre, gratis e senza preavviso. Non c’è un modo elegante per evitarle, non importa quanto ti prepari o quanto tu ci provi. Arriveranno. Sempre.
E qui risiede la parte interessante: non puoi controllare la natura grezza del dolore che ti colpisce, ma puoi controllare il significato che gli dai. Ed è in quel significato che risiede il tuo potere più grande. È lì che decidi se il dolore ti stritolerà o se, in qualche modo, ti renderà più vivo.
Se scegli di vedere il dolore nato dalla fine di una relazione come una prova che sei un perdente, che non meriti amore, allora sì, soffrirai. Se invece decidi che quella rottura non è una condanna, ma piuttosto un segno che la tua ragazza non era la persona giusta per te, allora il tuo dolore diventa un trampolino di lancio. E alla fine, starai meglio.
Se perdi il lavoro e ti convinci di essere destinato a fallire, il dolore sarà insopportabile. Ma se guardi alla perdita come alla scintilla che accende il tuo desiderio di cambiare, allora diventa il motore di una trasformazione. E ti sentirai più forte.
In ogni caso, la scelta è sempre la stessa: scappare dal dolore o affrontarlo a testa alta.
Quando lo eviti, soffri; quando lo affronti, cresci.
3. Tutto ciò in cui credi, prima o poi, diventerà obsoleto.
Quando il dolore arriva, elabori un significato per interpretarlo.
Puoi scegliere di evitarlo con scuse e autocommiserazione ("Non è colpa mia", "Non me lo meritavo", "La vita è ingiusta"), oppure puoi affrontarlo a muso duro: "Dove ho sbagliato?", "Cosa posso imparare da questo?", "Come trasformo questa merda in carburante?".
A seconda del significato che scegli di dargli, generi la storia che determinerà le tue azioni future.
Alcune storie sono migliori di altre, e ti portano ad affrontare problemi più stimolanti. Altre storie sono spazzatura perché ti soffocano nel vittimismo e amplificano il dolore invece di trasformarlo in qualcosa di utile.
Ma, alla fine, ogni storia che ti racconti è destinata ad essere obsoleta. La vita trova sempre un nuovo modo per prenderti a schiaffi. E quando succede, hai due opzioni: restare attaccato a vecchie storie ormai inutili o lasciarle andare e crearne di nuove. Più forti, più vere, più adatte a ciò che sei diventato.

Quando ero un adolescente, la noia mi divorava. Ogni giorno sembrava identico al precedente, un loop infinito di nulla.
Volevo andarmene, vedere il mondo e vivere qualcosa di più grande della soffocante realtà del paese. La storia che mi raccontavo era che se avessi potuto viaggiare, allora avrei spezzato la monotonia. Avrei trovato significato. Avrei finalmente smesso di annoiarmi.
Così, a 25 anni, ho fatto lo zaino e sono partito. Sei anni dopo, sono ancora in giro, ogni anno in un posto diverso.
Mi si è spezzato il cuore. Mi sono innamorato. Ho preso il sole alle Maldive e ho sentito il vento gelido tagliarmi la faccia mentre aspettavo l’aurora boreale in Islanda. Ho dormito in aeroporti e visitato Parigi correndo. Ho rischiato la vita sui Tuk Tuk in India. In Sri Lanka ho bevuto con sconosciuti che sono diventati amici… insomma, tutte quelle cose che vedi nei vlog di viaggio su YouTube.
Ora continuo a divertirmi e a godermi il viaggio, ma in sottofondo c’è un’altra sensazione che cresce, silenziosa.
Faccio fatica a costruire amicizie che durino nel tempo. La mia vita sentimentale a volte sembra vuota. E per la prima volta, mi ritrovo a fantasticare su una vita che fino a poco fa mi sembrava soffocante: mettere radici, avere una comunità, una routine, una casa.
La storia che mi aveva salvato una volta ora è diventata la fonte di un nuovo tipo di dolore. Un dolore diverso e più evoluto. Un problema di livello superiore, ma pur sempre un problema.
Quella narrazione che un tempo era la mia via di fuga ora mi tiene intrappolato. Ciò che mi ha dato libertà ora mi fa sentire perso. E così arriva il momento di fare quello che tutti odiamo fare: aggiornare il sistema.
Perché il dolore è proprio come una notifica sul telefono che ti dice di aggiornare le app. Ignorala troppo a lungo e tutto inizia a rallentare, a incepparsi. Solo che qui non si tratta di software. Qui l’aggiornamento riguarda te.
Se non metti mai in discussione le storie passate, se ti aggrappi a esse con la convinzione che siano l’unica, indiscutibile verità, allora ti condanni da solo. Non impari. Non cresci. Non trasformi il dolore in qualcosa di utile. Anzi, finisci per rivivere lo stesso ciclo all’infinito.
Le tue convinzioni sono solo un’illusione e la coerenza è sopravvalutata. Non c’è un vero “sé” a cui rimanere fedeli. C’è solo l’esperienza e le storie che la tua mente costruisce.
Se vuoi lasciare spazio a qualcosa di nuovo, più resistente e più utile, devi imparare a liberarti delle tue convinzioni.
4. La vita è ingiusta, e non ti meriti un cazzo.
Di tutte le storie che ci raccontiamo per dare un senso al dolore, la più diffusa è quella del “meritare”.
La mente umana è ossessionata dalla logica di causa ed effetto: è così che cerchiamo di dare un senso al caos.
Studi per un esame? Prendi un buon voto. Ti alzi presto? Fai un sacco di cose. Ti bevi una bottiglia intera di scotch a colazione? A pranzo ti risvegli in una pozza del tuo stesso vomito.
Le azioni hanno conseguenze. E quando il contesto è semplice, le conseguenze sono facili da individuare. Il problema è che la vita non è semplice. E così finiamo per credere che ognuno di noi meriti esattamente ciò che gli accade.
Ma cosa succede quando accade qualcosa di terribile e completamente inaspettato? Quando un'alluvione distrugge la tua casa o un crollo economico annienta tutto quello che avevi messo da parte per la pensione?
Non sono state le tue azioni a causare quel dolore. Non c’è una causa diretta né una logica chiara. Eppure, la tua mente non riesce a non associare la sofferenza a una colpa. Vuole darle un senso.
Il problema è che, per quanto siamo tutti pieni di difetti, tendiamo a credere di essere persone per bene. Questo è un pregiudizio stupido, ma profondamente umano (primo comandamento).
La vita è caotica e imprevedibile. E, prima o poi, ti porta a fare i conti con enormi dosi di dolore (secondo comandamento). Quindi, inevitabilmente, ti trovi a lottare con l'idea che la vita è ingiusta.
Per cercare di far quadrare la dissonanza cognitiva che nasce dal fatto che “la vita non è giusta”, la nostra mente si ingegna. Alcuni si rifugiano nella narrazione del destino, convincendosi che il loro dolore abbia uno scopo superiore. Altri, più religiosi, scelgono la via di Dio. Altri ancora interiorizzano il dolore e si fanno piegare da esso fino a credere che la loro miseria sia il risultato di un difetto intrinseco, di qualcosa di sbagliato in loro. Così, cominciano a odiare se stessi e a credere che la sofferenza sia la loro punizione. Che se la meritano.
Qui, i guru della crescita personale entrano in gioco, e ti dicono che non solo non meriti di soffrire, ma che meriti di essere felice!
In questo modo, il problema si trasforma: non più disperazione (“mi merito di soffrire”), ma diritto (“mi merito di essere felice”).
Va detto che il diritto è decisamente un problema migliore della disperazione, ma, alla fine, è comunque una trappola.
Lascia che ti proponga una soluzione meno ovvia al problema della “vita ingiusta”: smettere di credere che qualcuno (incluso te stesso) meriti qualcosa.
Nel corso della tua vita fai delle scelte. A volte vanno bene, altre volte vanno male. Non c’è un ordine universale che ti garantisce successi o fallimenti. L’importante è concentrarti su ciò che sai – o almeno credi – possa portare a risultati positivi più spesso che no.
Questo è quanto. Se vieni travolto da un'alluvione o raggirato da qualche truffatore, è la vita. Affronta il dolore (secondo comandamento), imparalo (terzo comandamento) e cerca di fare meglio la prossima volta. La felicità non fa parte dell’equazione. Il “meritare” non dovrebbe avere posto nei tuoi calcoli. L’unica vera costante dovrebbe essere il miglioramento.
Tutti noi affrontiamo tragedie, traumi, solitudine, rabbia, perdita e tristezza. Alcuni di noi ne vivono di più, altri ne sperimentano di più ingiustamente. Ma la dura verità è che nessuno si merita nulla.
È facile guardare il dolore di un altro e pensare che se lo sia meritato, che sia la sua punizione. Ma attraverso i loro occhi, loro sentiranno che quel dolore non lo meritano. E, senza dubbio, anche tu avrai momenti in cui ti sentirai di non meritare il tuo dolore, mentre gli altri ti osserveranno e penseranno che tu lo stia subendo per qualcosa che hai fatto.
È questa idea di “meritare” che è completamente soggettiva, mentre il dolore è oggettivo, universale e costante.
La felicità non è qualcosa che si merita, né qualcosa che si guadagna da fattori esterni. La felicità si crea dentro di sé. E si costruisce con le scelta quotidiana, semplice e ripetuta, di accettare ciò che è.
Lasciare andare l’idea di “meritare” è incredibilmente difficile. Ma una volta che ti liberi da questo peso, la visione del mondo diventa sorprendentemente semplice.
Mentre il mondo della crescita personale promuove un insaziabile senso di diritto, alimentando la convinzione che tutti meritano di essere felici e di sentirsi sempre bene, quello dell’Evoluzione Personale guarda con sospetto ai sentimenti positivi. Non li disdegna, ma li comprende in modo più realistico. Sa che, pur essendo desiderabili, ogni emozione positiva ha un costo.
La felicità non è scarsa, ma la dignità umana lo è. Scegli la dignità. Perché essa non dipende da ciò che pensi di meritare: è legata al saper stare bene con te stesso, anche nei momenti più difficili.
5. Perderai tutto ciò che ami, ed è proprio questo a rendere la vita più significativa.
I film di supereroi non mi sono mai piaciuti.
Non sono realistici. So che suona stupido: è ovvio che i film di supereroi non sono realistici. È proprio questo il presupposto! Ma lascia che ti spieghi...
Non ho problemi con i superpoteri. È solo che, per me, se devi avere poteri soprannaturali, allora i personaggi dovrebbero comportarsi in modo logico, in accordo con quelle capacità fuori dal comune. E nei film di supereroi, nessuno si comporta in modo logico. Quasi mai.
Per esempio, se il tuo corpo fosse indistruttibile — se la tua struttura cellulare fosse completamente impermeabile alle forze esterne — non saresti in grado di formare nuovi ricordi. Non potresti sviluppare nuove abilità. E non potresti nemmeno provare la maggior parte delle emozioni che rendono la vita interessante: paura, senso di colpa, eccitazione. Saresti uno zombie.
Eppure, nessuno lo considera mai!
Inoltre, se un personaggio è immortale, come può davvero interessargli qualcosa?
Immagina di avere davanti a te un orizzonte infinito di esperienze. Prima o poi, proveresti tutte le possibili emozioni — ogni gioia, dolore, sofferenza e successo. Vedresti non solo i tuoi amici morire, ma anche intere civiltà sorgere e crollare, pianeti nascere e poi spegnersi nel nulla. Saresti testimone di ogni tragedia, di ogni cataclisma, di ogni ingiustizia un milione di volte.
E a quel punto, cosa potrebbe davvero importare quando hai visto tutto, sentito tutto, sofferto e gioito di tutto fino a renderlo indistinguibile?
L'immortalità porterebbe inevitabilmente al nichilismo. Ogni cosa diventerebbe irrilevante, perché tutto potrebbe essere rivissuto all'infinito. Senza la fine come limite, non c'è motivo di dare valore a nulla.
Il motivo per cui ami i tuoi familiari è che sono gli unici che hai. Non puoi avere un'altra madre o un altro padre. Non puoi avere due volte lo stesso figlio. Allo stesso modo, l'ambizione esiste perché il successo è limitato. Se chiunque potesse ottenere qualsiasi cosa in qualsiasi momento, l'impulso a migliorarsi svanirebbe: il significato nasce dalla scarsità.
La morte, ovvero l'inevitabile fine di tutto, è infatti l'unica cosa che rende la vita degna di essere vissuta. Ti costringe a decidere cosa è davvero importante, a impegnarti, a essere presente. Ti insegna che non puoi avere tutto, quindi devi scegliere con cura.
Se il tempo fosse infinito, ogni esperienza sarebbe solo una tra le infinite possibili, priva di peso e di valore.
La perdita arriva per tutti, senza distinzione. E sì, fa male. Sempre. Ma se fa male, significa che c'era qualcosa che valeva la pena avere, qualcosa che contava davvero.
Il dolore è la prova che hai vissuto, che hai amato, che sei stato parte di qualcosa più grande di te. E in questo, per quanto crudele, c'è una bellezza incredibile.
Il mondo della crescita personale ti dirà spesso che puoi proteggerti dalla perdita. Che puoi controllare la tua vita e il mondo e assicurarti di non perdere i tuoi amici, i tuoi soldi o il tuo lavoro, di avere sempre successo e di non essere mai triste.
Ma questo è un desiderio di immortalità, il sogno insensato di un futuro statico e immutabile. E questo atteggiamento è contro la vita perché è contro la morte.
L’Evoluzione Personale, invece, ti guarda dritto negli occhi e ti dice di non scappare dalla perdita. Perché tutto ciò che ami finirà perduto, ed è proprio questa consapevolezza che rende la vita degna di essere vissuta.
A domenica prossima,
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Per chi è nuovo da queste parti…
Mi chiamo Riccardo. Sono un viaggiatore senza dimora fissa, giro per il mondo e scrivo online.
In questo momento mi trovo in Malesia, immerso nel mio viaggio A Caso per l'Asia. Sono partito senza alcun piano o biglietto di ritorno, e di tanto in tanto documento un momento speciale della mia avventura.
La domenica pubblico un articolo in cui esploro una lezione differente che la vita mi ha insegnato, condividendo riflessioni e strategie che mi hanno aiutato a superare gli ostacoli.
Se anche tu sei un sognatore, se hai un animo irrequieto, se dentro di te arde la sensazione che ci sia "qualcosa di più” là fuori, allora La Cantina dei Dannati è il posto giusto per te.
Benvenuto, e buona lettura!
Ciao Riccardo.😊
Grazie come sempre.
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