L'Ottimismo è il Profumo della Vita
Perché aspettarsi il meglio quando ci si prepara al peggio.
Per chi è nuovo da queste parti…
Buongiorno!
Mi chiamo Riccardo. Sono un viaggiatore senza dimora fissa, giro per il mondo e scrivo online.
In questo momento mi trovo in Malesia, immerso nel mio viaggio A Caso per l'Asia. Sono partito senza alcun piano o biglietto di ritorno, e di tanto in tanto documento un momento speciale della mia avventura.
La domenica pubblico un articolo in cui esploro una lezione differente che la vita mi ha insegnato, condividendo riflessioni e strategie che mi hanno aiutato a superare gli ostacoli.
Se anche tu sei un sognatore, se hai un animo irrequieto, se dentro di te arde la sensazione che ci sia "qualcosa di più” là fuori, allora La Cantina dei Dannati è il posto giusto per te.
Benvenuto, e buona lettura!
Perché aspettarsi il meglio quando ci si prepara al peggio
Stavo passeggiando per le viuzze brulicanti della Chinatown di Kuala Lumpur, mentre un fiume di persone scorreva intorno a me.
L’odore pungente del durian si mescolava alla naftalina e all'aroma invitante di noodles saltati nel wok. Il fumo dell’olio bollente aleggiava nell’aria, offuscando per un attimo la visione delle lanterne rosse appese sopra di me.
Un uomo dall’aria furba mi si avvicinò con un sorriso sghembo, sventolando sotto il mio naso un Rolex dorato che scintillava sotto il sole impietoso. “Good price, my friend,” mi disse con un cenno complice, mentre con l’altra mano mi indicava una paio di sneakers con loghi di collaborazioni mai esistite.
Sorrisi, scossi la testa e mi allontanai, lasciandomi alle spalle il vociare dei venditori e il tintinnare delle stoviglie delle piccole cucine a vista.
La ragazza che passeggiava al mio fianco mi raccontò di un errore commesso a lavoro che avrebbe potuto costarle il rimprovero del suo superiore il giorno dopo.
La osservavo mentre cercava di minimizzare la cosa con un sorriso teso, ma il tono della sua voce tradiva una certa ansia.
Il giorno dopo, mi scrisse. Era andata meglio di quanto si aspettasse. Nessun rimprovero diretto, nessuna catastrofe.
"Ecco perché preferisco sempre aspettarmi il peggio in certe situazioni" aggiunse, come se fosse una regola di sopravvivenza. Le sue parole scavarono una breccia nel mio passato. Mi riportarono indietro, a un tempo in cui anch’io pensavo così.
Se qualcuno mi avesse chiesto se vedessi il bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto, avrei risposto che non era nemmeno bagnato.
Della serie: “Mi aspetto il peggio possibile. Se poi le cose vanno meglio, bene. Altrimenti, me lo aspettavo.”
Era un mantra che mi ripetevo come una formula di autodifesa.
Il problema è che, aspettandoti sempre il peggio, inizi a vedere la vita attraverso quella lente distorta. Quella mentalità si infiltrava ovunque, e condizionava il mio sguardo sul futuro. Non ero capace di immaginarlo con speranza: per me era solo un territorio sconosciuto che nascondeva nuove delusioni.
Guardavo avanti sempre con il fiato sospeso, aspettando con i pugni serrati il colpo successivo.
È vero, il futuro porta sempre nuove avversità. È inevitabile. Ogni passo in avanti ti espone a sfide più grandi. Ma ciò che cambia non è la difficoltà delle prove, bensì la tua abilità nell’affrontarle.
Ogni ostacolo superato ti lascia qualcosa: una lezione, una cicatrice, una nuova consapevolezza. E, senza nemmeno accorgertene, inizi ad affrontare le difficoltà con maggiore sicurezza, perché il tuo bagaglio si arricchisce di esperienze e strategie che prima non avevi.
Questo non significa che il cammino diventi più facile — anzi, spesso si fa più tosto — ma almeno smetti di sentirti disarmato di fronte all’ignoto.
Un giorno mi resi conto che il pessimismo non faceva altro che attirare ulteriori difficoltà. La mia visione alimentava gli eventi negativi, amplificandoli e facendoli sembrare ancora più insormontabili di quanto fossero in realtà.
Perché se è vero che i nostri schemi mentali creano le nostre emozioni, e che le emozioni influenzano le decisioni che prendiamo — e quindi il nostro modo di affrontare il futuro — allora avere una visione pessimistica non è solo inutile, ma pure dannoso. Non protegge dal peggio, lo costruisce. Non evita le difficoltà, le moltiplica. Ci fa inciampare in problemi che, forse, non erano poi così grandi, ma che la nostra stessa paura ha ingigantito.
E poi c’è il presente.
Vedere sempre il bicchiere mezzo vuoto non ti rovina solo il domani, ma anche l’adesso. Ti tiene in uno stato di costante tensione, come se qualcosa di terribile fosse sempre sul punto di accadere. Vivi in attesa di una catastrofe che, fino a prova contraria, esiste solo nella tua testa.
E intanto, mentre ti prepari al peggio, il meglio ti scivola via senza che tu nemmeno te ne accorga.
Premeditatio malorum
Non è la morte che un uomo dovrebbe temere, ma il non cominciare mai a vivere secondo natura.
-Marco Aurelio
Gli stoici, con la loro premeditatio malorum, non predicavano la rassegnazione, ma la preparazione.
Non si trattava di accettare passivamente il peggio, ma di domandarsi con lucidità: se tutto dovesse andare storto, come reagirò?
L’idea non è lasciarsi schiacciare dall’ansia, ma rafforzarsi mentalmente e allenarsi a essere pronti. Quando immagini il peggior scenario possibile, non lo fai per rassegnarti, ma per costruire la tua strategia di vittoria.
Come mi tirerò fuori da quella situazione come un vincente? Quali risorse potrò usare? Come affronterò le avversità senza farmi travolgere?
Agli occhi di un neofita, potrebbe sembrare una forma di pessimismo. Ma, in realtà, è esattamente il contrario: è una delle forme più autentiche di ottimismo.
Avere fede nel futuro non significa coltivare pensieri positivi a oltranza né vivere di false speranze. Significa comprendere che il futuro è per definizione incerto e che gli eventi non saranno mai del tutto sotto il tuo controllo.
Eppure, puoi sempre controllare i fattori più importanti di tutti: i tuoi pensieri, le tue azioni nel presente e il tuo modo di reagire a ciò che accade.
Il vero ottimismo non è immaginare un futuro privo di difficoltà — sarebbe ingenuo. La vita, prima o poi, ti tirerà addosso delle palate di merda. Questo è un dato di fatto. La vera differenza sta in come impari a schivarle, o in come ti pulisci per uscirne più profumato di prima.
La premeditatio malorum è lo strumento con cui ti assicuri di essere pronto quando arriveranno quei momenti. Non per subirli, ma per affrontarli. Non per sperare che la tempesta non arrivi, ma per essere capace di navigarla senza affondare.
Se ti rassegni senza prepararti, non eviti la sofferenza quando il peggio arriva. Anzi, la amplifichi, perché inizi a soffrire ancora prima che l’evento accada. E quando finalmente il problema si manifesta, ti travolge come un’onda contro cui non hai neanche provato a nuotare.
Prepararsi consapevolmente, invece, cambia tutto. Ti permette di affrontare le difficoltà a testa alta. Quando la battaglia arriva, non sei in ginocchio, ma già con la spada impugnata e lo scudo alzato. Sei pronto a combattere. Non stai sventolando bandiera bianca ancora prima dell’inizio dello scontro.
Illudersi di un futuro privo di ostacoli è inutile. Nessuno vive un’esistenza completamente serena e priva di problemi — né gli uomini, né gli animali, né le piante. Ogni fase della vita porta con sé le sue sfide.
Certo, ci sono periodi più leggeri di altri, ma questo non significa che siano privi di avversità. Ti pesano meno semplicemente perché hai imparato ad affrontarli con una mente più aperta, con più sicurezza, persino con il sorriso sulle labbra.
Quando invece ti trovi in quei momenti in cui tutto sembra andare storto, spesso il problema non è solo ciò che accade, ma il modo in cui lo affronti.
Se adotti una visione pessimistica, se ti lasci schiacciare dall’idea che nulla migliorerà, finisci per peggiorare le cose ancora di più.
Ed è qui che sta la vera battaglia: non nel cercare di evitare le difficoltà, ma nel prepararti a superarle senza farti distruggere.
Gli eventi negativi, inoltre, non vengono sempre per nuocere. Anzi, direi quasi mai. A volte, sono l’unica cosa capace di scuoterti da situazioni che altrimenti non avresti mai avuto il coraggio di cambiare.
Immagina di essere in una relazione che non è meravigliosa, ma nemmeno terribile. Il tuo partner non ti maltratta, né ti manca di rispetto. Ti supporta, ma non ti rende davvero felice. Sai che non lo ami, ma nemmeno lo detesti. E così rimani dove sei, perché non c’è una vera ragione per andartene.
Oppure pensa al tuo appartamento. L’affitto è un po’ alto e la zona non è delle migliori. C’è un po’ di muffa negli angoli del soffitto, ma il proprietario è una brava persona e non ti crea problemi. Non è il massimo, ma è comodo per andare al lavoro. E così resti lì, senza pensare seriamente di cercare qualcosa di meglio.
Il paradosso è che entrambe queste situazioni sarebbero migliori se fossero molto peggiori.
Se la relazione fosse davvero tossica, troveresti la forza di chiuderla. Se l’appartamento fosse inabitabile, saresti costretto a cercarne uno nuovo. Ma invece resti bloccato in quella terra di mezzo fatta di accettazione passiva. Un confortevole compromesso che non è abbastanza negativo da spingerti a cambiare, né abbastanza positivo da renderti felice.
È lì che molti di noi si spengono lentamente, in questo limbo di serenità illusoria.
E oggi è ancora più facile cadere in questa trappola: la vita moderna è progettata per tenerci anestetizzati.
Puoi ordinare il cibo con Uber Eats senza alzarti dal divano, mentre il corriere Amazon ti consegna il nuovo televisore con cui guarderai una serie pluripremiata su Netflix, seduto su un divano che ti è stato portato a casa dai dipendenti Ikea.
Non c’è più bisogno di sforzarsi, di affrontare il disagio o di confrontarsi con i problemi reali. Così, senza nemmeno accorgertene, finisci per sedare le grandi questioni che dovresti risolvere, soffocando ogni preoccupazione sotto un cuscino di comodità e piaceri effimeri.
Il problema è che la comodità è ingannevole. Sappiamo che non vogliamo restare fermi, che potremmo avere ed essere di più. Eppure, finché il disagio non è abbastanza forte, rimandiamo il cambiamento. Restiamo in relazioni tiepide, in lavori mediocri, in vite che non ci entusiasmano davvero.
Ecco perché alcune difficoltà non sono sventure, ma opportunità mascherate. Sono scosse necessarie, tagli netti che ti costringono a muoverti, a crescere, a diventare chi eri destinato a essere.
L’ottimismo non è negare il dolore, ma riconoscere che, spesso, è proprio il dolore a indicarti la strada giusta.
Se invece ti limiti a subirlo e eviti di sfruttarlo a tuo favore, il dolore resta lì, latente, pronto a risvegliarsi quando meno te lo aspetti.
E più lo ignori, più rischia di consumarti dall’interno.
L’ottimismo è il profumo della vita
“La domanda più importante che ogni persona dovrebbe chiedersi è: l’Universo è un luogo amichevole o ostile?”
—Facciamo che l’ha detto Einstein
Tra le innumerevoli citazioni attribuite alla cazzo di cane — di cui la maggior parte, chissà come mai, finisce sempre in bocca a Einstein o a Churchill — questa è la mia preferita.
Per alcuni potrebbe sembrare una boiata, ma non sono d’accordo: questa domanda è stata per me la scintilla che ha acceso un cambio di mentalità determinante.
Fino a qualche anno fa, la mia vita era un’incessante premeditatio malorum — ma svuotata del suo vero scopo.
Ogni giornata sembrava una partita già persa in partenza, un conto alla rovescia verso qualcosa di inevitabilmente negativo.
Poi, mi imbattei in questo quesito.
Vuoi che fosse il momento giusto per rifletterci, vuoi che stavo attraversando una fase di grande transizione, vuoi quel che vuoi, ma per me fu come uno schiaffo in pieno volto.
Prima di allora, ero costantemente alla mercé dell'umore del giorno. L'irrequietezza che oggi mi spinge a puntare sempre più in alto, all’epoca non la canalizzavo in alcun modo. E così finiva per trasformarsi in un'infelicità onnipresente che sembrava non abbandonarmi mai.
Fu in quel periodo che mi imbattei nella filosofia del pensiero positivo.
All'inizio mi sembrava una di quelle mode superficiali, una formula facile per chi non voleva affrontare la realtà. Eppure, a poco a poco, mi accorsi che c’era qualcosa di più profondo: non si trattava di ignorare i problemi o di fingere che non esistessero. Anzi, era quasi l’opposto. Si trattava di guardarli in faccia e di non lasciarsi paralizzare.
Capii che essere ottimisti non significa far finta che tutto vada bene, ma coltivare una mentalità che ti permetta di concedere sempre nuove possibilità a te stesso, anche quando tutto sembra perduto. Significa non arrendersi al primo ostacolo. Non rassegnarsi alla mediocrità. Vuol dire eliminare dal proprio vocabolario parole come "accontentarsi" o "arrendersi", parole che fino a quel momento erano state così radicate nella mia quotidianità che non mi rendevo nemmeno conto del loro potere deleterio.
Il pensiero positivo è, in fondo, un modo per ritrovare il controllo, per capire che, anche quando le cose vanno storte, esiste sempre un altro passo in avanti da fare.
È davvero un peccato che questa corrente di pensiero venga spesso associata a idee fuorvianti, per non dire a delle vere e proprie puttanate. Perché sai com’è... da Mihaly Csikszentmihalyi a Esther e Jerry Hicks il passo è breve.
Vabbè, poco importa. Quello che conta davvero è che, imparando l’ottimismo, riuscii finalmente a dare uno scopo alla perenne premeditatio malorum in cui ero inconsapevolmente intrappolato.
Già, perché è proprio qui che risiede il grande potere di quella domanda attribuita a Einstein: la risposta che le dai determina il tuo modo di approcciare la vita. È il filtro attraverso cui interpreti tutto ciò che ti capita.
Questo è molto importante, perché la narrazione che costruisci attorno alle tue esperienze ha un potere straordinario: può trasformare un momento banale in un ricordo prezioso o, al contrario, rendere un’esperienza fantastica qualcosa di facilmente dimenticabile.
Un’altra perla di saggezza che ci arriva da Marco Aurelio, è che la qualità della nostra vita dipende dalla qualità dei nostri pensieri.
Ciò che pensi, e come affronti le sfide, determina in larga parte la tua esperienza quotidiana.
Se approcci la vita con entusiasmo e curiosità, anche le difficoltà diventano occasioni di crescita, invece che ostacoli insormontabili.
Il mondo, in fondo, è diviso in ciò che possiamo controllare e ciò che non possiamo controllare.
Affliggerti per ciò che non dipende da te, per eventi esogeni su cui non hai alcuna responsabilità, è inutile. È patetico. Non esiste un’esistenza più miserabile di quella che vive colui che si piange addosso per l'incontrollabilità degli eventi.
Certe volte, la vita ti mette davanti a sfide che sembrano troppo grandi, ma è proprio in quei momenti che la vera forza emerge. L'Universo vuole che tiri fuori le palle e che dimostri la tua resilienza. Non ti chiede di lamentarti, ma di rialzarti e dimostrare che puoi sopportare le difficoltà e uscirne più forte, con maggiore consapevolezza di te stesso.
È sicuramente utile prepararti per il peggio, ma altrettanto importante è essere in grado di aspettarti il meglio. La vita non è fatta solo di difficoltà. A volte, le cose vanno nel verso giusto, e in quei momenti devi essere pronto a goderti ciò che arriva.
A domenica prossima,
Grazie per aver letto fin qui!
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Riccardo buonasera, grazie per piacevole lettura e le parole che condivido, sono anche le mie per esperienza di vita. Buon viaggio in questa meravigliosa avventura che si chiama vita. 💛
Ciao Caro Riccardo 😊
Altra Perla di Post che hai scritto ❤️✨
Un abbraccio..
A presto...