
Ogni mattina mi sveglio, mi alleno, faccio una doccia gelida, medito, poi scrivo un po’ per riorganizzare i pensieri e schiarire la mente.
Solamente dopo aver completato tutte queste attività arriva il premio, il momento della giornata a cui non rinuncerei mai: la mia tazza di caffè.
Non parlo di una tazza caffè qualsiasi. Non mi riferisco a quella dopo pranzo e nemmeno a quella di metà pomeriggio. Alludo proprio a quella tazza di caffè mattutina post-routine di attività scomode.
La mia passione morbosa per il caffè va oltre la bevanda stessa; è piuttosto legata a ciò che rappresenta per me: un momento di pausa, di riflessione e di consapevolezza.
Spostandomi spesso tra un paese e l'altro, la mia principale compagna di avventure caffeinate è la mia piccola Bialetti ad uso personale, con la quale ho sviluppato un rapporto di affetto quasi patologico.
Abbiamo un rapporto silenzioso, fatto di poche parole, ma funziona.
Lei mi regala l'opportunità di gustare un ottimo caffè ovunque io vada, e in cambio, la conduco alla scoperta di tanti fornelli diversi sparsi per il globo.
Nonostante la mia indole da cittadino del mondo e la mia tendenza a evitare il tipico atteggiamento italiano che, ad ogni assaggio all'estero, tende a confrontare con il "Eh, ma in Italia è meglio, c'è poco da fare", devo ammettere che quando si tratta di caffè, divento più italiano di Pavarotti che guida una Vespa senza casco mentre mangia un pezzo di pizza.
Ciò che amo della moka è la sua intrinseca ritualità, capace di evocare una forma ridimensionata della cerimonia del tè giapponese: è in grado di conferire una sorta di sacralità ad un momento che altrimenti potrebbe risultare banale e meccanico. Anche se il caffè fatto con la macchinetta potrebbe essere più buono, è un caffè troppo facile, scontato e privo di magia.
Al mattino, una volta terminata la scrittura, mi dirigo in cucina, afferro il barattolo del caffè e, con lentezza, apro il contenitore. Chiudo gli occhi. Mi immergo nell'aroma, respirandolo profondamente, permettendo ai miei sensi olfattivi di impregnarsi. Guardo il caffè, osservandone il colore, per poi apprezzarne l'odore un'altra volta.
Apro il rubinetto e lascio fluire un sottile rivolo d'acqua nella caldaia della moka, osservando il livello del liquido trasparente che cresce fino a lambire la vite. Una volta raggiunta, la vite sembra quasi gridare a squarciagola: "STOOOOOP!"
Aggiungo il filtro meccanico e, cucchiaino dopo cucchiaino, lo riempio con il caffè, facendo attenzione a non versarne fuori. È quasi un gioco, una sfida personale, e non intendo perdere nemmeno un granello. Per essere certo del risultato, devo affrontare l'operazione con la precisione di un intervento chirurgico.
Questa fase richiede la massima attenzione poiché desidero dosare con precisione, evitando sia l'eccesso che la mancanza: il rapporto tra l'acqua e il caffè deve essere equilibrato.
Non cerco la perfezione assoluta, poiché questa è un concetto inarrivabile, ma voglio avvicinarmi il più possibile all'eccellenza.
Deve risultare intenso al punto giusto, della corretta densità - né troppo acquoso né troppo cremoso. Assolutamente da evitare il rischio che la moka diventi “stitica”, dove una quantità eccessiva di caffè impedisce all'acqua di compiere il suo naturale flusso verso l'alto.
Una volta dosata la quantità desiderata, presso leggermente il caffè, appiattendolo senza renderlo eccessivamente compatto. Dopodiché, avvito la parte superiore della moka.
Ora, tutto è pronto per passare alla flebile fiamma del fornello.
Questo è lo stadio della creazione, in cui l'immaginazione si trasforma in realtà. È il momento in cui il tempo si trasforma in valore, simile a un investimento che attende di dare i suoi frutti.
È la fase tesa dell'attesa.
Riflettendoci, la preparazione del caffè con la moka è una perfetta metafora della vita: i risultati migliori si ottengono grazie alla pazienza e alla resilienza.
La fiamma deve essere mantenuta al livello più basso possibile, poiché far bollire l'acqua troppo rapidamente avrebbe un impatto esponenziale sul risultato. Un buon caffè richiede impegno e la capacità di trasformare l'attesa in un momento di riflessione e apprezzamento del presente.
Come si sente spesso dire: ciò che conta è il viaggio, non la destinazione. E se non impari ad apprezzare il viaggio, non sarai in grado di goderti la destinazione una volta raggiunta.
L'attesa, che va dal momento in cui la moka viene posizionata sul fornello fino all'idilliaca sinfonia sprigionata quando comincia a gorgogliare, emettendo quel sottile fumo capace di inondare l'intera casa col suo aroma, rappresenta il vero momento in cui avviene la creazione.
Quando mi siedo di fronte alla montagna con la tazza in mano e i piedi sul termosifone è il momento della giornata che scelgo deliberatamente per ricordarmi di affrontare la vita con maggiore calma e saper apprezzare i momenti di semplicità nel frastuono quotidiano.
Spesso trascuriamo le piccole cose, dimenticando quanto siamo fortunati ad essere nati in Occidente, in un'epoca in cui abbiamo accesso a tutta l'informazione e l'istruzione desiderate direttamente nella tasca dei pantaloni, gratuitamente. Dimentichiamo di poter scegliere cibi provenienti da ogni angolo del mondo in qualsiasi momento, e di poterli acquistare comodamente sotto casa. Troppo spesso diamo per scontato il privilegio di goderci un caffè come e quando lo desideriamo, senza pensare che ci sono miliardi di persone nel mondo che non hanno questo privilegio.
Ho diverse pratiche con cui coltivare la mia presenza, ma la tazza di caffè mattutino è la più potente tra tutte, anche se non riesco ad identificare esattamente il motivo. Attività come cucinare, mangiare, correre, camminare si avvicinano a quella sensazione, ma non riescono a eguagliare l'effetto che quella tazza di caffè riesce a regalarmi.
Questo è il mio momento sacro per rinascere ogni giorno, poiché in quegli istanti non importano i problemi, le faccende e i grattacapi da risolvere. È il lasso di tempo in cui lascio tutto fuori dalla porta della mia mente, inclusi sia i problemi che i sogni.
È un momento dedicato solo al momento stesso.
Costituisce un rifugio spirituale in cui alleno i miei 5 sensi (+1) a percepire in un unico e infinito istante il calore del sole, l'aroma del caffè e il suo sapore, l'effetto della caffeina e il potere rilassante del mio respiro. Tutto accade simultaneamente, e in quel momento non esiste nient'altro. È la mia bolla spazio-temporale, in cui mi prendermi una pausa protettiva non solo dal mondo esterno, ma soprattutto da me stesso e dai pensieri sabotanti che tentano di abbattermi. Mi consente di prendere le distanze da quella stessa voce interiore che ora mi sta dicendo: "Ti rendi conto che stai scrivendo un articolo su come prepari la moka? Sei ridicolo! Pensi davvero che a qualcuno interessi leggere le tue stronzate?"
In questi momenti, rifletto sul caffè. Mi ricordo che ciò che faccio, ciò che scrivo, ciò che creo, lo faccio per me stesso. È per il mio piacere, non per soddisfare gli altri.
Se qualcuno apprezza, ben venga, altrimenti non ha importanza. Non lo faccio per ottenere un risultato, ma piuttosto per liberare la creatività che, se intrappolata, può trasformarsi in uno spillo che perfora l'anima. Come nel caso del caffè, ciò che conta non è quanto il risultato finale sia "perfetto", ma quanto io riesca veramente a godermi il viaggio, la pratica.
Mi viene in mente quella vecchia pubblicità del Campari che diceva: "In fondo, non è forse vero che l'attesa del piacere, è essa stessa il piacere?". Meravigliosa. È proprio così. Tutto ciò che segue è solo la ciliegina sulla torta, o al contrario, un errore da cui imparare.
A domenica prossima,
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Lo ammetto, dovrei leggerti più spesso. Ed infatti ho tutte le e-mail col pallino blu, in attesa di essere aperte per ridirigermi in cantina e leggere tutto quello che scrivi, attentamente.
Ah, a proposito: ho trovato un mistyping come segue “ … in cui mi prendermi una pausa … “.
Ottimo lavoro.
In ultimo, lo inoltrerò alla mia compagna che, recentemente più del passato, sta vivendo con stress, nervosismo ed ansia il suo tanto lavoro da libera professionista, nonostante siamo entrambi ben consapevoli che il “qui è ora” è uno dei pali su cui posare una sana vita personale e di coppia.