Ciao Dannati!
Benvenuti al quarto episodio delle Interviste Dannate.
Puoi trovare la conversazione integrale sotto forma di podcast su YouTube e Spotify, mentre qui trovi l’interpretazione da me scritta della nostra conversazione.
La scorsa settimana ti ho parlato di Gaia Vitali Roscini, viaggiatrice indomita e autrice in cerca di storie profonde.
Oggi invece ti porto , backpacker, designer, autore e voce libera.
Scrive ogni mese su Substack, tiene aggiornato un blog che è un piccolo atlante interiore, e racconta i suoi spostamenti anche su Instagram e Polarsteps.
Questa è la sua storia.
Ci sono segnali che ci definiscono prima ancora di saperli leggere.
A sei anni, nei corridoi di un supermercato, Vincenzo già sceglieva una via diversa. I suoi genitori andavano da una parte, lui dall’altra. Si infilava nella corsia parallela, camminando in silenzio tra scaffali anonimi, come se stesse cercando qualcosa che nemmeno sapeva di aver perso.
Forse, in quella deviazione, c’era già tutta la traiettoria della sua vita: una propensione alla scoperta e un bisogno ostinato di percorrere una strada tutta sua.
A venticinque anni, Vincenzo cominciò a viaggiare per davvero. Non verso l’estero, ma nella sua terra: la Sicilia. Con lo zaino in spalla.
Oggi può dire di aver attraversato tutto il Sudamerica via terra, senza mai salire su un aereo. Potrebbe raccontare di notti in ostello, di bus sgangherati e confini attraversati. Ma ora, quando ci ripensa, è proprio quel primo viaggio di pochi chilometri da casa a sembrargli il più autentico di tutti.
Perché viaggiare, alla fine, non è una questione di distanza. È una questione di profondità.
Puoi fare il giro del mondo e restare sempre lo stesso. O girare l’angolo sotto casa e non riconoscerti più.
Non conta tanto dove vai, ma come ci vai.
Conta cosa sei disposto a lasciare indietro. Conta se hai il coraggio di ascoltare quella voce interiore che ti guida verso la direzione giusta.
Per Vincenzo, quella fu probabilmente la prima volta in cui smise di ignorarla. La sua Verità, la chiama. Quella che ti prende allo stomaco e ti sussurra ciò che è più giusto per te, e che ti ricorda chi sei veramente.
Ed è quella voce che va seguita. Sempre. Perché ignorarla significa passare la vita a giustificarti per essere te stesso.
Per un po’, Vincenzo aveva accarezzato l’idea di fare il giro del mondo senza aerei, un sogno nato leggendo le storie di Claudio Pelizzeni (a.k.a. Trip Therapy).
Un’impresa epica, romantica, carica di simboli e significati.
Eppure, invece di spingerlo avanti, quel sogno lo inchiodò. Più ne parlava dentro di sé, meno riusciva a parlarne fuori. Come se anche solo dirlo ad alta voce significasse scoprirsi troppo.
Col tempo capì che forse non era davvero il suo sogno.
Non completamente, almeno. La sua Verità non gli aveva mai detto “giro del mondo senza aerei”. Gli aveva detto solo “backpacking”. Il resto era arrivato dopo, filtrato dai racconti degli altri, dalle aspettative altrui, da quel bisogno di rendere ogni cosa speciale e degna di nota.
E quando vai a caccia di desideri che non ti appartengono davvero, qualcosa dentro di te lo sa. Si crea attrito. O per usare le parole di Vincenzo: “Ti sembra quasi che vivere il tuo sogno sia sbagliato."
Così, quando ha compiuto trent’anni, ha deciso di smettere di aspettare il momento giusto, e ha comprato un biglietto di sola andata per la Colombia.
Così. A caso. Solo perché si era promesso che entro i trent’anni avrebbe fatto un viaggio lungo. Solo perché, in quel momento, la sua Verità gli aveva detto: “Basta rimandare. È ora.”
Durante quel viaggio, infatti, Vincenzo capì una cosa difficile da accettare: le storie che ci ispirano sono sempre romanticizzate. Non necessariamente da chi le racconta, ma soprattutto da chi le ascolta. Perché chi ascolta sogna, e il sogno abbellisce tutto.
Ogni racconto diventa leggenda, ogni bivio diventa epifania. E così finisci per inseguire un’illusione, invece che la verità.
Se non ci credi, prova a farti il Sudamerica senza aerei. Poi ne riparliamo.
Lo capisci quando sei in Colombia su un bus notturno con il sedile sfondato e le persone affianco che se ne fregano totalmente del tuo spazio personale.
O quando realizzi che il tuo zaino è troppo pesante e che ogni oggetto in più è solo un rimpianto con un’etichetta sopra.
Ma Vincenzo ha imparato ad amare proprio quei momenti. Quelli che nessuno mette nelle foto su Instagram.
“Il bello non è saltare da un punto all’altro. Il bello è il mezzo”, dice.
È tutto quello che succede mentre cerchi di arrivare: le attese, i contrattempi, le conversazioni a gesti, il caldo, la fame, l’incertezza. È lì che succede il viaggio.
I confini, in particolare, lo affascinano. Gli piace vedere come, in pochi metri, tutto cambia: le facce, le lingue, i gesti, le regole non scritte.
È lì che capisci che il mondo non è una collezione di cartoline ben curate. È una sinfonia stonata. E se vuoi davvero ascoltarla, devi imparare ad adattarti.
Smettere di essere “europeo”.
Toglierti di dosso il turismo.
E metterti addosso la polvere.
Una delle cose più interessanti che Vincenzo mi ha detto è che le persone si dividono in due categorie: quelli che empatizzano coi vincenti, e quelli che empatizzano coi perdenti.
Lui ha sempre empatizzato con i secondi. Non per pietà, ma per istinto. Sentiva di appartenere a quella zona grigia dove finiscono quelli che parlano piano e che si vergognano un po’ dei propri sogni.
Quelli che si fanno troppe domande prima di fare qualsiasi cosa.
La differenza più grande tra i due, forse, è solo nel punto di partenza: i vincenti decidono e agiscono; i perdenti pensano troppo, si fanno condizionare dal giudizio e dalla paura di sbagliare.
Ma anche un perdente, quando comincia a scegliere davvero, quando smette di chiedere il permesso, può diventare un vincente.
Per Vincenzo, uno di quei momenti ha avuto una forma concreta: uno zaino.
Questo zaino lo ha portato ad approcciarsi al mondo del minimalismo, una filosofia che per lui è nata da una necessità: “Se non mi entra nello zaino, non posso partire."
Sette magliette uguali, zero varianti. E la libertà di fregarsene di chi lo prendeva in giro.
Perché se è una tua scelta, smette di essere una privazione: diventa un’affermazione.
È dire “basta”. È smettere di camuffarsi per sembrare qualcuno che non sei. È guardarsi allo specchio e dire: “Mi riconosco.”
Non è facile.
La società ti addestra a voler essere più bello, più sicuro, più vincente. Ma Vincenzo ha capito che la libertà non è essere tutto. È sapere chi sei, e viverci dentro.
Anche se ti fa sentire fuori posto.
Anche se vuol dire dormire su un sedile d’autobus.
Anche se vuol dire prendere un'altra volta la corsia parallela al supermercato.
In fondo, quella era l’unica strada possibile fin dall’inizio.
A mercoledì prossimo,
Per chi è nuovo da queste parti…
Mi chiamo Riccardo Cecco.
Sono un viaggiatore senza dimora fissa, giro per il mondo e scrivo online.
Parlo di storie vere, viaggi e cambiamenti.
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Se sei finito qui per caso, forse non è un caso. E se qualcosa ti suona familiare, beh... versati un bicchiere e fatti un giro nella Cantina!
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